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Di solito inizia tutto con una chat aperta su un social network, e poi il copione è quasi sempre lo stesso: scambi di messaggi infuocati, immagini erotiche e gli incontri sexy sul web si trasformano in vere e proprie estorsioni.  È la storia di una professionista romana che, qualche giorno fa si è rivolta alla Polizia postale per fermare il ricatto messo in piedi da un 48 enne siciliano a cui aveva inviato immagini "hard".  

I fatti  Dopo aver inviato una richiesta di amicizia su facebook, l'uomo ha intrapreso con la signora una "relazione" basata su conversazioni sul social network poi proseguite su Whatsapp, ed è qui che è avvenuto lo scambio di foto particolari.  Il ricatto comincia qualche giorno dopo quando l'uomo inizia a minacciare di diffondere le immagini ai contatti facebook della vittima, se lei non avesse pagato 200 euro.  

Gli investigatori hanno ricostruito le tracce informatiche lasciate dal 48 enne che, dopo esser stato identificato è stato denunciato.

Fonte: Polizia di Stato (Leggi articolo completo)

Più di 800 milioni di persone nel mondo possiedono un "profilo" sui più popolari social network (MySpace, Facebook, Twitter).  I "Social Media" sono piattaforme in cui gli utenti si presentano al mondo, si mettono in relazione con  amici reali e ampliando la rete sociale anche con persone mai incontrate; superando il vincolo del faccia a faccia. Si può quindi affermare che la vita quotidiana delle persone, la loro comunicazione e le loro interazioni sociali abbiano cambiato aspetto con l'avvento dei social media.

Il concetto stesso di AMICIZIA assume significato diverso nel mondo reale e in quello virtuale. Nella vita reale l’amicizia tra due persone ha una dimensione di intimità,dimensione che si perde nel social networking portando l’amicizia ad essere una relazione pubblica e superficiale. Spesso diventiamo "amici" di persone che non conosciamo nemmeno, solo per aumentare il numero di contatti. Inoltre nel mondo virtuale il rapporto non è mediato dal corpo; mezzo importantissimo per comprendere e capire le emozioni reali che l'atro sta provando; si rischia quindi  di cadere in un "analfabetismo emotivo" con effetti che possono anche influire sul comportamento.

Negli ultimi anni, molte ricerche in ambito psicologico si sono interessate al fenomeno dei Social Network cercandone di capire il funzionamento, il motivo di tale successo e le conseguenze che il mondo online ha portato nel mondo offline. Come prima cosa, ci si è domandati come mai le persone si iscrivono ad un Social Network. Quali MOTIVAZIONI ?. Le ricerche hanno portato a diverse motivazioni:

1.La capacità di soddisfare la maggior parte dei bisogni, quali esigenze di sicurezza, esigenze associative, fabbisogno stimato ed esigenze di autorealizzazione (rifacendosi alla Teoria dei bisogni di Maslow).

2. le reti sociali hanno la capacità di fornire una sicurezza intrinseca. Si inizia a creare un profilo Facebook per curiosità, poi si mantiene per piacere intrinseco, per la sensazione di coinvolgimento e di assorbimento che gli utenti provano. 

3.Altra motivazione che spinge le persone a far parte di un social network potrebbe essere la necessità di lasciare una traccia di sé, di costruire uno sorta di memoria storica delle proprie attività. Proprio in merito a quest’ultima ipotesi, Mark Zuckerberg, avendo capito la voglia degli utenti di lasciare un segno della loro storia e del loro passaggio nel mondo virtuale, ha modificato l'aspetto di Facebook l'introducendo di Timeline, una sorta di "diario aperto" che permette agli utenti di conservare non solo gli aggiornamenti più recenti, ma di esplorare fatti e notizie di periodi precedenti. Il profilo è diventato un vero e proprio diario in cui si sceglie la fotografia di copertina e dove tutti gli amici possono vedere un archivio diviso in anni per rivedere ciò che è stato scritto e pubblicato.

Un altro filone di studi si è occupato invece di indagare la relazione tra tipo di personalità e uso dei Social Network. Se il modo si aggiornare il proflio e condividere fosse indicativo della personalità dell'utente e se ci fosse corrispondenza tra personalità online (quello che decido di mostare in Rete) e personalità offline (quello che sono nella mia vita quotidiana). I risultati mostrano che esisterebbe una corrispondenza tra personalità online e offline: i soggetti non utilizzerebbero i social network per promuovere un'immagine idealizzata di loro stessi. Le persone sarebbero disposte a rivelare il proprio sé sui social network, più di quanto non lo siano nella vita reale. Questo perché all'interno di una rete di amici virtuali si possono condividere i pensieri con un minor rischio di disapprovazione o di sanzione sociale.

Altri studi hanno dimostrato che i soggetti con un alto livello di nevrosi tendono a utilizzare Internet per evitare la solitudine, quindi si avvalgono della Rete per comunicare.

Infine, per quanto riguarda le ricadute negative psicologiche e comportamentali che l'uso dei Social Networ può avere nella vita reale, si è notato che si possono riscontrare problemi quali: il cambio di identità, i comportamenti aggressivi, lo stalking, la violazione e l'abuso di informazioni. Una caratteristica dei Social Network è quella di creare un ambiente in cui il mondo reale si fonde con il mondo virtuale, un ambiente in cui le persone possono gestire la propria identità sociale e la loro rete di contatti, un ambiente che porta la persona a creare una "identità fluida", flessibile, precaria, imprevedibile e incerta. Se per un adulto può essere un vantaggio avere un'identità fluida, per un adolescente che sta cercando di costruire il proprio Io questo potrebbe diventare un problema, rallentando il processo di costruzione dell'identità.

 

Per leggere l'articolo completo: http://www.psicologo-milano.it/attualita/344-psicologia-social-network

Ogni gesto che l’uomo compie è guidato da una motivazione sottostante, da un bisogno che sente, in modo più o meno consapevole. Mangiamo perché abbiamo fame, studiamo perché soddisfa la nostra curiosità, abbiamo relazioni perché abbiamo bisogno di essere parte di qualcosa. Proprio questo ultimo esempio sembra essere la motivazione fondamentale che spinge all’uso dei social netwrok (Ferguson e Perse, 2000; Leung, 2001).
Attraverso la realtà “social” si appaga il bisogno di relazionarsi con gli altri, di sentirsi appartenenti a un gruppo, di essere in relazione. Da diversi studi emerge come questo bisogno si declini in modo differente per le persone estroverse e per le introverse.  Le prime sfruttano la piazza social per migliorare la propria posizione sociale, mentre gli introversi sembra che si avvalgano dei social per colmare quel gap relazionale derivante dalle loro difficoltà di socializzazione (Ross et al. 2009; Correa et al. 2010).

Il social network diventa così un deterrente; una via di fuga per chi, nella vita sociale reale, sperimenta difficoltà di socializzazione, a causa di tratti del carattere, come la timidezza o situazioni d’isolamento sociale (Caretti, La Barbera, 2005). L’utilizzo delle nuove tecnologie e dei social network sembra quindi acquisire una realtà emotiva sempre più complessa e intensa. Si pubblica ciò che piace, che fa stare bene, che dà gioia, felicità e appagamento. Si pubblica ciò che fa soffrire, che esprime la tristezza e il dolore. Si pubblica per sfogo, per sé stessi o per interessare gli altri. Da recenti studi è emerso come questo implichi il fenomeno del “contagio emotivo” per cui influenziamo e siamo influenzati dalle emozioni espresse nei post, tweet o foto social.
Un esempio, sotto gli occhi di tutti, di come può essere pervasivo il contagio emotivo social può essere quello che sta accadendo nella propaganda ISIS.Isis, (Le tecniche psicologiche per reclutare gli italiani, Marco Venturini, Il Fatto Quotidiano).
Un aspetto peculiare del meccanismo di diffusione del terrore e delle modalità di reclutamento adottati dal Califfato è proprio quello di sfruttare il potere emotivo dei media, dei social, la loro immediatezza, la loro pervasività e la loro esponenzialità. Il primo passo è attirare l’attenzione con contenuti virali, che vengano condivisi e che siano dotati di contenuti ad alto impatto emotivo (collera, indignazione), con alto tasso di eccitamento e di provocazione; un esempio sono i video delle esecuzioni.
Questa propaganda attecchisce soprattutto sugli individui più vulnerabili -anche per l’età- nella società, fa leva sulle loro debolezze, sul loro vissuto di emarginazione e attiva in loro un processo di identificazioni con la minoranza che si ribella alla società. Altra tecnica psico-social utilizzata, e che raggiunge anche i ragazzi più “sani”, fa leva sul bisogno di sicurezza e di appartenenza: unico modo per far fronte al senso di impotenza, alla paura e all’insicurezza derivate dal terrore è quello di appartenere ad un gruppo. In questo caso il gruppo salvifico è proprio quello che causa tale quadro di terrore; si attiva quella che è conosciuta come “Sindrome di Stoccolma” che, in questo caso ha una connotazione on-line: il ragazzo davanti alle immagini violente e alle promesse di attentato nella propria città si sente minacciato, il carnefice pur essendo a distanza può in realtà agire proprio sotto casa, il pericolo percepito è dunque vicinissimo e l’unica via d’uscita è di “stare con lui”.
Di fronte a tale stress emotivo il meccanismo di difesa più frequente è la regressione, si fugge nei meccanismi infantili e si diventa maggiormente influenzabili, maggiormente dipendenti da una figura “paterna”, ci si identifica con essa, la si emula: diventa la nostra famiglia.

AUTORE: DOTT.SSA STEFANIA SEDINI

Irritabilità, disattenzione, calo del rendimento scolastico ma anche bullismo. Sono alcune delle conseguenze del rimanere connessi anche di notte. L'esperto di OK Oliviero Bruni spiega i risvolti della mancanza di sonno nei più giovani.

Le nuove tecnologie invadono sempre di più la vita quotidiana di chi le utilizza, soprattutto i giovani. Che cosa sta succedendo?  L’intrusione delle nuove tecnologie come smartphone e ipad è un problema emergente. L’influenza maggiore si ha nella vita dei preadolescenti e degli adolescenti, i cosiddetti “nativi digitali” che sono sempre connessi, giorno e notte. I social network e le relative app, come ad esempio Whatsapp e Facebook, hanno creato una nuova modalità di comunicazione. Un tempo il cellulare aveva la sola funzione di telefono, quelli di nuova generazione hanno varie applicazioni (foto, video, musica) che consentono un utilizzo differente e continuo. Tutto questo ha delle ripercussioni importanti sulla vita dei giovani.

Fonte: OK Salute (Leggi l'articolo completo)

Più tempo si trascorre al cellulare e più si corre il rischio di essere depressi. Lo spiega uno studio della Northwestern University Feinberg School of Medicine.

Si chiama nomofobia, abbreviazione di «no phone fobia»: è il terrore di restare senza smartphone che provoca nervosismo e ansia. Un fenomeno che riguarda sempre più persone nel mondo, così comune da essere stato persino inserito tra i nuovi lemmi dallo Zingarelli 2015.  UN NUOVO STUDIO Una patologia vera e propria? No, gli esperti concordano sul fatto che piuttosto si tratta di una paura non giustificata (una fobia, appunto), ma questo bisogno smodato potrebbe essere un campanello d’allarme. Uno studio condotto dalla Northwestern University Feinberg School of Medicine e pubblicato sul Journal of Medical Internet Research prova infatti che più tempo si trascorre con lo smartphone e più probabilità ci sono di essere depressi.

I ricercatori sono arrivati a queste conclusioni monitorando per due settimane il comportamento di 28 pazienti, tenendo sotto controllo il tempo trascorso da ciascuno navigando con il cellulare e il Gps dei dispositivi (che consente di capire se una persona si sposta poco e quindi si isola, come fa tipicamente chi soffre di disturbi di questo tipo).

Leggi l'articolo completo.

Fonte: Vanity Fair

Abbiamo parlato più volte del pericolo dei #selfie ma ecco esplodere un nuovo fenomeno: il DAREDEVIL SELFIE.

Consiste nello scattare selfie in situazioni sempre più estreme. In due anni più di 20 persone sono decedute tentando di scattarsi un selfie in situazioni estreme.

ECCO ALCUNI ESEMPI:

  • Taranto, sedicenne scivola dal parapetto del lungo mare mentre cerca di farsi un selfie. La ragazza a causa della caduta sulla scogliera sottostante è deceduta in ospedale.
    Fonte: TGCOM, giugno 2014
  • Un turista tedesco di 62 anni ha perso la vita  su un impianto sciistico del Trentino cercando di farsi un selfie durante la salita sullo skilift; ha perso l’equilibrio ed è precipitato per circa 200m.
    Fonte: Il Giornale, Aprile 2015
  • Tre studenti universitari di Nuova Delhi sono morti fra le rotaie mentre cercavano di fotografarsi il più vicino possibile al treno in arrivo.
    Fonte: Il Messaggero, Gennaio 2015

  • Una giovane studentessa 23enne muore perdendo l'equilibrio nel tentativo di scattarsi un selfie e precipitatando giù, da un'altezza di circa 7 metri.
    Fonte: Il Messaggero, Novembre 2014

  • Vuole scattare un selfie estremo ma ora lotta per la vita in ospedale. Una 21enne stava facendo un autoscatto con una pistola puntata alla tempia, ma l'arma era carica e per errore le è partito un colpo.
    Fonte: Leggo.it, Maggio 2015
  • A San Pietroburgo, per scattare un selfie muore una ragazza di 17 anni. L’adolescente, è morta cadendo da un ponte ferroviario di 30 metri mentre tentava di scattare un selfie precipitando in acqua.
    Fonte: Il Mattino, Aprile 2014

Questo fenomeno si unisce al fatto di tutti quegli incidenti dovuti alla distrazione causata dall'utilizzo dello Smartphone in situazione che meriterebbero molta più attenzione (es. guida dell'auto)

ALCUNI ESEMPI:

  • Scatta un selfie, poi si schianta con l'auto: ragazza-madre muore al suo addio al nubilato.
    Fonte: Il Messaggero, Giugno 2014
  • Si riprendono in auto mentre cantano, poi lo schianto in diretta. Perdono il controllo dell'auto proprio mentre stanno registrando le loro performance canore con un selfie stick.
    Fonte: Corriere.it - Sotto il Video


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